A cura di Riccardo Taraglio
“Il Graal è un oggetto.
Il Graal è un simbolo.
Il Graal è un’idea.
Il Graal è un’esperienza spirituale.
Il Graal è un canto che dal centro di noi stessi sgorga dapprima fievole e delicato e via via sempre più possente… fino al risveglio della Vita che guarisce!”
Aramis De la Fontaine
Il Reame delle Leggende Arturiane è un Regno di misticismo, di esperienze all’interno della coscienza e di ricerca spirituale.
Le Leggende Arturiane permettono di entrare in contatto con l’Inconscio Collettivo Celtico dell’Europa attraverso l’ingresso dei regni interiori individuali.
L’utilizzo cosciente delle Leggende Arturiane e delle Storie del Graal per compiere un lavoro su se stessi implica una serie di livelli e di conoscenze da acquisire sia precedentemente all’avventura sia in corso d’opera. Questo utilizzo cosciente dei simboli ci obbliga a pensare in modo differente dal consueto, al percepire, considerare e contattare parti del nostro essere di cui forse non sospettavamo l’esistenza. Lavorare con i simboli di una storia impone una diversa visione della realtà interiore, una realtà in cui l’individuo diviene molteplice, ma uno, osservatore e osservato, soggetto e oggetto.
L’individuo diviene così l’Eroe che compie la Cerca, il territorio della Cerca, il Calice che contiene ogni avventura, ogni nome, ogni personaggio, ogni luogo e ogni significato della Cerca, in un complesso caleidoscopio di figure, metafore, allegorie.
La Cerca del Graal è un’avventura senza eguali che coinvolge l’intero essere e che porta l’individuo a esplorare le regioni interiori, dagli abissi alle altezze, facendogli comprendere il valore del patrimonio storico e letterario, oltre che simbolico, del passato celtico europeo.
La Cerca del Graal svolta all’interno dei regni della propria coscienza (magari passando anche per un viaggio vero e proprio nei territori fisici che storicamente videro lo svolgimento delle avventure dei Cavalieri di Artù) implica un’esplorazione e un uso dell’Immaginazione, quella facoltà/territorio fatta appunto di ‘immagini’ che popolano i nostri pensieri, il nostro sentire, i nostri progetti e i nostri sogni.
Alla base di quelle immagini stanno i simboli ancestrali legati al territorio dell’Europa, i simboli della Spada estratta dalla Roccia, del Calice che rigenera la Terra e il Re Ferito, della Nobiltà e del Coraggio legati al vivere l’Avventura.
Affrontare la Cerca del Graal però non può essere un semplice esercizio di edonismo interiore, di passeggiata esotica del weekend, di frivola esperienza per moderni occidentali annoiati, disillusi o disorientati. Essa va preparata, va affrontata con serietà, va meditata con pazienza ponendosi le giuste domande per trovare l’inizio del Sentiero.
La preparazione alla Cerca infatti è fondamentale per la riuscita nell’Impresa e soprattutto per la conoscenza, perlomeno teorica, di quei territori, di quei pericoli, di quelle situazioni e di quei personaggi con i quali si entrerà in contatto.
Non a caso la Cerca è definita il ‘viaggio periglioso’ e come tale va considerato e affrontato. La Cerca non ci lascerà come prima, ma trasformerà il nostro essere, la percezione di noi stessi e del mondo, il nostro modo di pensare e agire. Come?
Attraverso l’uso dei simboli e delle storie, perché di simboli e di storie, con i loro significati, sono fatte le nostre vite. La Cerca del Graal nei territori interiori è un lavoro psicologico e spirituale strettamente legati uno all’altro e come tale va considerato. Il lavoro psicologico passa per la conoscenza di sé in quanto esseri umani con una determinata struttura di coscienza, in quanto esseri umani occidentali con una determinata struttura culturale, in quanto individui con una determinata struttura di storia personale. Chi cerca il Graal? I Cavalieri che desiderano porre rimedio alla Terre Guaste, alla Terra Desolata e Sterile che ha ridotto il loro Regno in una Landa senza speranza. La Cerca viene svolta da chi vuole ridare la Salute al Regno e lenire la sofferenza del Re Magagnato, il Sovrano colpito all’inguine da una lancia.
Chi sono i Cavalieri? Dove comincia la Cerca? Dove si trova il Graal? Quali avventure, pericoli, incontri si dovranno affrontare per portare a termine l’impresa?
Lo si scoprirà con il lavoro che ci apprestiamo a compiere, a quei primi passi nel nostro mondo interiore utilizzando i simboli del Graal. Fondamentalmente è bene sapere che l’uso dei simboli in modo attivo, quindi non solo attraverso la lettura di storia o la comprensione intellettuale degli stessi, stimolerà l’attivazione di parti della coscienza finora assopite o poco utilizzate. Ma procediamo con ordine e un passo per volta…
Introduzione
Fra il XII e il XIII secolo, nell’arco di circa una cinquantina d’anni, apparvero in Europa una serie di storie legate a un oggetto misterioso che si presenta sotto diverse forme (una pietra, una coppa, un piatto, ecc.), ma che risponde ad un unico nome: GRAAL.
I vari autori concordano che si tratti di un oggetto misterioso, meraviglioso, straordinario e dai grandi poteri, di cui però non è possibile parlare direttamente e il cui segreto profondo è intrasmissibile e incomprensibile.
Del GRAAL si può parlare solo sottovoce e con grande rispetto e per sua natura la sua presenza può sconvolgere le vite dei Cercatori sia in senso positivo che negativo, a seconda della loro predisposizione d’animo.
Non a caso nel Perlesvaus del XIII secolo si leggono queste parole:
“…da Dio proviene la nobile storia del Graal, e coloro che la ascoltano devono essere attenti e dimenticare tutta la loro bassezza, perché chi la ascolta con il cuore ne trarrà grande beneficio.”
Il GRAAL ha avuto numerosi cercatori che hanno tentato di trovarlo e spiegarlo: da veri e propri cacciatori di tesori ad acrobatici esploratori dell’anima e della coscienza, da studiosi di storia a intellettuali e letterati, da registi cinematografici a poeti e mistici, da visionari e disequilibrate personalità a fanatici religiosi e cultori di ideologie politiche.
Ognuno di essi ha cercato di dare una propria interpretazione al GRAAL, ha trovato per esso una collocazione fisica, interiore o mistica, ha voluto vederlo in modi diversi.
Il GRAAL è stato così identificato con il calderone degli dèi celtici Dagda o Manannan, con l’Occhio dell’egizio Thot, con il meraviglioso smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero, con la coppa con la quale Gesù celebrò l’Ultima Cena e la Prima Eucaristia oppure con il Calice dove Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue del Messia crocifisso, con una Perla del culto di Zoroastro, con il Talismano venerato dai Catari nei Pirenei, con il Grande Zaffiro custodito dai monaci dall’Abbazia di Glastonbury in Inghilterra, con il piatto recante la testa sanguinante di Giovanni Battista…
Per altri il GRAAL non è un oggetto materiale, ma piuttosto un simbolo che nasconde antichi rituali di fertilità, oppure rappresenta il contenitore di tutto lo scibile umano, o ancora l’Inconscio Individuale o quello Collettivo in termini psicoanalitici, così come uno stato dell’anima.
Tutte queste ipotesi, dottamente spiegate e sostenute da ‘inconfutabili prove’, identificate con coppe di alabastro o cristallo, testimoniate con funamboliche elucubrazioni mentali o complesse elaborazioni letterarie, associate a simbologie antichissime o esotiche, in realtà non hanno mai potuto rivelare appieno natura e origine del GRAAL, che rimangono avvolte nel mistero.
Persino l’apparizione letteraria e storica delle narrazioni legate al GRAAL è avvolta nel regno dell’insolito: l’improvviso fiorire di un nuovo genere letterario costituito da versioni differenti incentrate su un medesimo soggetto-oggetto-tema straordinario. Spesso tali storie si contraddicono, si smentiscono l’una con l’altra, si mescolano e si intrecciano fra loro dando vita a versioni nuove e diverse, confondendo le tracce e i sentieri di chi si è messo in cammino per la Cerca.
Tuttavia anche in mezzo a molte contraddizioni, a molteplici spiegazioni fuorvianti, a innumerevoli descrizioni contrastanti vi sono alcune chiare indicazioni sulla funzione del GRAAL: nelle prime versioni è un talismano in grado di restituire la fertilità alla Terre Guaste e di guarire il Re Pescatore, mentre nelle ultime è accostato a un’esperienza spirituale di illuminazione.
Se prese in un senso esoterico (con l’etimologico significato di ‘interiore’), queste due diverse interpretazioni della funzione e del potere del GRAAL in realtà coincidono: il Sacro Oggetto ha un dono di risanamento, guarigione, ricchezza e apertura verso mondi spirituali. Ed è proprio in questo senso che procederà il nostro lavoro.
Come primo approccio al GRAAL però si propone quello letterario per formare una base solida con nomi, luoghi e simboli volti a creare un territorio comune formato da immagini in grado di offrire dei punti di riferimento chiari per il nostro viaggio alle radici della coscienza, lungo i Sentieri del Calice.
Le Storie del Graal e le Leggende Arturiane
Negli anni compresi fra il 1175 e il 1190, presso la corte Maria di Champagne o di Filippo di Alsazia conte di Fiandra, prese corpo, per la prima volta in forma scritta, una emozionante storia carica di simboli intitolata Perceval ou Le Conte du Graal. La ‘mano’ che diede un corpo al ricco e nuovo filone narrativo fu quella di Chrétien de Troyes, traduttore di Ovidio e studioso dei classici, dotto trovatore della regione francese di Champagne probabilmente originario della medesima città di cui porta il nome.
Chrétien de Troyes (morto 1190 ca) compose cinque romanzi ispirandosi alle leggende bretoni: Erec et Enide, Cligès, Lancelot ou le chevalier de la charret, Yvain ou le chevalier au lion e il Perceval ou Le Conte du Graal.
Nel proemio dell’opera intitolata “Cligés” dichiara di aver tradotto l’Ars amandi di Ovidio e un racconto tratto dalle “Metamorfosi”, ed è molto importante far notare che egli si mosse nelle corti feudali dove figure femminili come quelle di Eleonora d’Aquitania e Maria di Champagne, sua protettrice, rivesti-vano una parte predominante. I luoghi di Chrétien sono quelli della Francia settentrionale, ma che subiva la forte influenza culturale della letteratura occitanica del meridione, dove la materia amorosa aveva un ruolo fondamentale: la donna è esaltata come signora, l’amante come vassallo, l’amore come omaggio di devozione e mezzo per una elevazione spirituale e il cavaliere deve dimostrare di saper vincere ogni ostacolo anche con il sacrificio della vita, per potersi innalzare al di sopra di sé dando piena misura delle sue possibilità.
Chrétien de Troyes mise per iscritto una serie di avventure che con molta probabilità circolavano già in forma orale negli ambienti dell’emergente società cavalleresca europea dell’epoca. Nello stesso periodo apparvero anche le Chansons de geste che celebravano l’avvento della nobiltà laica che con la guerra si ergeva a difesa della cristianità e quale garante di uno stato di cose lontano dal caos dei secoli precedenti.
Tuttavia le Storie del Graal non parlano di guerra, ma di avventura; non di battaglie contro i Saraceni o altri signori, ma di tornei e schermaglie d’amore; non di imprese titaniche contro eserciti di nemici, ma di singole
sfide e meravigliosi incontri; non di obiettivi quali la vittoria, ma del raggiungimento di un ideale e di un oggetto che lo incarni in modo puro.
L’epoca nella quale Chrétien de Troyes scrive la sua Conte du Graal è il momento storico in cui la cultura normanna e quella celtica entrarono in contatto in Galles e in Irlanda, fondendosi lentamente e scambiandosi certamente anche il materiale leggendario.
Chrétien de Troyes si rivela profondo conoscitore dell’animo umano e lo esplora attraverso i suoi scritti con dialoghi intensi e appassionati, di monologhi dal chiaro intento analitico, in grado di penetrare i reconditi meandri del cuore e della mente dei personaggi. Le sue storie hanno come filo conduttore l’evoluzione: sia di una relazione amorosa, sia della personalità di un individuo.
È un abile narratore che usa spesso la tensione per tenere viva l’attenzione del lettore, crea situazioni dove il personaggio di turno è obbligato a scegliere spesso contravvenendo alla parola data, ma per ottenere il bene di un altro o del gruppo. La scelta di agire bene spesso è in contrasto con l’etichetta sociale e questo porta inevitabilmente a una profonda analisi degli eventi, di se stessi, delle conseguenze delle proprie scelte. Il destino è lo sfondo sul quale si intrecciano le scelte personali.
Chrétien de Troyes compose la sua opera de Le Conte du Graal per un uditorio formato da cavalieri con un certo grado di cultura e quindi con una certa educazione, cosa che ci riporta alle qualità richieste ai Fianna irlandesi di Finn Mc Cumhaill, guardia scelta del Re Supremo d’Irlanda in un’epoca dei secoli vicini alla nascita di Cristo.
Vi erano diverse regole da rispettare per poter essere ammessi al gruppo dei Fianna, norme che rendevano l’individuo in grado di esprimere quelle qualità che ne facevano un uomo onorato e degno di tal nome. Egli era tenuto a:
-essere pacifico nella casa di un potente e minaccioso nei luoghi pericolosi;
-non mischiarsi in battaglia con buffoni;
-essere sempre pronto con le armi in pugno fino al termine dello scontro;
-non rinnegare né tradire il suo signore e non abbandonare, né per oro né per altra ricompensa, chi si era impegnato a proteggere;
-non fare discorsi vanagloriosi, perché veniva ritenuto disonorevole parlare con troppa superbia e non saper rendere con azioni ciò di cui si vanta;
-cedere a ciò che è giusto e per il suo sangue nobile a non ingiuriare un popolo davanti al suo capo;
-non mentire, parlare troppo o biasimare in modo avventato;
-quantunque si ritenesse un uomo buono, non alimentare discordie nei propri confronti;
-non picchiare il proprio cane se non aveva sbagliato, né accusare la propria moglie senza essere certo della colpa;
-non criticare chi aveva una reputazione buona;
-riservare alle donne, ai bambini che ancora non camminavano ed ai poeti i due terzi della sua gentilezza e non essere violento con la gente comune;
-non frequentare le taverne, non fare pettegolezzi sugli anziani né accompagnarsi con uomini di bassa condizione;
-non prendere parte a litigi e stare lontano dai folli e dai malvagi;
-distribuire con generosità il proprio cibo;
-non accogliere uomini avari nella propria casa;
-non prevaricare i capi né essere da loro biasimato;
-essere pronto a dare più che a negare.
Una particolarità da evidenziare è il nome con cui viene chiamato questo nuovo genere letterario: roman, ‘romanzo’ ovvero un racconto redatto in lingua corrente e non in latino, un avvenimento per l’epoca!
Interessante è notare che tutti i romanzi del GRAAL vennero composti fra il 1175 e il 1240, come se un vento di ispirazione avesse soffiato potentemente sull’Europa dell’epoca e dato vita a una nuova sorgente, a una nuova Via di Ricerca.
Il motivo sociologico e storico è da ricercarsi da un lato dalla necessità di avere una cultura laica accanto a quella religiosa che costituisse la base di formazione della nuova classe guerriera che otteneva terre e titoli grazie al proprio apporto militare e dall’altro dal tentativo della Chiesa di influire su questi uomini potenti grazie agli ideali laico-spirituali che riportassero il tutto verso di essa.
L’importanza della letteratura del GRAAL è legata anche al fatto che la lettura delle Sacre Scritture da parte di persone non facenti parte del clero era impensabile durante il Medioevo e pertanto l’apparizione delle Storie del GRAAL in forma scritta offrirono un’occasione unica e imperdibile di una letteratura propria per la classe cavalleresca, una serie di scritti che, oltre ad avere la funzione dell’intrattenimento e dell’esercizio di stile recitativo e poetico, fungevano da guida per l’educazione del cavaliere.
È infatti particolare notare che sebbene il GRAAL dopo poco tempo assunse l’appellativo di ‘Sacro’ e venne associato all’Ultima Cena o alla Crocifissione, non fu mai riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa e rimase pertanto più un simbolo spirituale ‘laico’ che religioso, certamente spirituale, ma non legato direttamente alla Via insegnata dall’istituzione al proprio clero come forma di potere.
Perché pur essendo legato a un forte simbolo cristiano non venne riconosciuto dalla Chiesa e in qualche modo fatto rientrare nel canone?
Forse perché il GRAAL diede la possibilità ai poeti di trattare di temi religiosi e spirituali pur non facendo parte del clero?
Forse perché il GRAAL era una Via Spirituale che riprendeva temi non direttamente connessi con il Cristianesimo mediorientale, ma attingeva piuttosto a conoscenze e simbologie prettamente europee?
Forse perché nelle Storie del GRAAL l’amore sensuale, l’amore fra uomo e donna, l’amore per i propri compagni, l’amore per il proprio signore (Artù), l’amore sentimentale vengono celebrati e resi legittimi anche lungo una strada di illuminazione?
La Chiesa tollerò il GRAAL fino alla Riforma protestante e al Concilio di Trento. La prima inasprì il contrasto con quel simbolo tanto antico quanto misterioso e imprendibile, il secondo si limitò a smettere di considerarlo e lo fece scivolare nel limbo… fino al diciottesimo secolo quando gli studiosi rievocarono il Mito e riscoprirono la letteratura europea per portarla al grande successo dei successivi XIX-XX secolo.
Chrétien de Troyes dal canto suo non terminò l’opera de Le Conte du Graal a causa della morte sopraggiunta, ma nonostante questo altri ripresero le linee tracciate dal suo roman e lo continuarono secondo lo schema qui sotto riportato, anche se gli amanuensi successivi cambiarono il titolo al romanzo e lo chiamarono Perceval, dal nome del protagonista.
Seguendo un po’ la linea delle Storie legate al GRAAL, possiamo individuare i seguenti filoni (Agrati Gabriella & Magini Maria Letizia, La Leggenda del Santo Graal, Milano, Oscar Mondadori, opera in 2 voll., 1995):
- Perceval ou Le Conte du Graal (1200 ca.), composto fra il 1175 e il 1190 ca. dal poeta champenois Chrétien de Troyes e lasciato incompiuto.
- quattro lunghe continuazioni del precedente romanzo:
- prima continuazione (1200 ca.); attribuita in un primo tempo a Wauchier de Denain, chiamata anche “Continuazione Galvano”;
- seconda continuazione (1200 ca.); anonima, chiamata anche “Continuazione Perceval”;
- terza continuazione (1210-1220 ca.); attribuita a Manessier;
- quarta continuazione (1230 ca.); attribuita a Gerbert de Montreuil.
- Parzival (1210 ca.), del poeta tedesco Wolfram von Eschenbach.
- Peredur (1200 ca.), racconto in prosa gallese facente parte di una raccolta di undici racconti di varia datazione cui è stato attribuito il nome di Mabinogion.
- Didot Perceval (inizio XIII sec.); romanzo francese in prosa, che prende il nome dal libraio parigino che fu proprietario del manoscritto.
- Perlesvaus, Le Haut Lime du Graal (1210 ca.); romanzo in prosa del Nord della Francia, o del Belgio.
- Lancelot, terzo ramo della vasta compilazione in prosa nota come Lancelot-Graal o Ciclo Vulgato, redatta da autori anonimi tra il 1215 e il 1235.
- Queste del Saint Graal, quarto ramo del Ciclo Vulgato.
Nel secondo gruppo sono compresi:
- Le Roman de l’Estoire dou Graal o Joseph d’Arimathie (1200 ca.); romanzo in versi del piccardo Robert di Boron.
- Estoire del Saint Graali, primo ramo del Ciclo Vulgato, ma composto probabilmente dopo il Lancelot e la Queste.
Vi sono anche altre leggende legate al GRAAL come il:
- Diu Kròne (1220), romanzo in prosa dell’austriaco Heinrich von dem Turlin di Kanten, che narra due visite di Galvano al castello del Graal;
- il Sane de Nansai (seconda metà del XIII sec.), romanzo francese anonimo in versi ambientato nel periodo delle crociate: senza alcun rapporto evidente con la tradizione arturiana, rivela tuttavia più di un legame con le perdute tradizioni del Graal;
- La Inchiesta del Santo Gradale (prima metà del XIV secolo), volgarizzazione toscana anonima della Queste del Saint Graal del ciclo Lancelot-Graal
- La Storia di Re Artù e dei suoi cavalieri, di Sir Thomas Malory, pubblicata a stampa da William Caxton nel 1485
Le leggende del GRAAL attingono dalle tradizioni celtiche elaborandone i temi per adattarli ai costumi dell’epoca medievale. Queste leggende narrano di eroi che visitano regni ultraterreni e isole misteriose di perenne felicità e giovinezza, da dove riportano gli oggetti portentosi degli dei pagani e i racconti di recipienti che restituiscono la vita ai morti e dispensano cibo ai banchetti. Nella rielaborazione medievale i protagonisti divengono i Cavalieri di Artù e i simboli celtici si trasformano nel recipiente dell’abbondanza (il GRAAL), nel un re ferito o malato la cui infermità rende il regno sterile o soggetto a malefici, e in un eroe che, erede dello stesso re, è destinato a mettere fine agli incantamenti.
Le fonti della materia arturiana o di Britannia (o Bretagna) sembrano essere le saghe irlandesi originali dell’Isola di smeraldo, ma anche le stesse rielaborate nella tradizione gallese dei Mabinogion. Il cosiddetto ‘ciclo bretone’ è basato sulla Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth, pubblicata per la prima volta nel 1136.
Nell’epoca moderna si possono citare:
- La riscrittura dei romanzi della Tavola Rotonda di Jacques Boulenger, medievalista e scrittore francese del primo Novecento
- il romanzo di Marion Zimmer Bradley “Le nebbie di Avalon”
- La recente trilogia di Michel Rio, narratore francese di grande avvenire. “Merlino”, “Morgana”, “Artù”
Preziose monografie per ulteriori approfondimenti:
- Norma Lorre Goodrich, “Il mito di Merlino”
- La splendida opera di Jean Markale “Lancillotto e la leggenda di Re Artù”
- E in ultimo la traduzione cinematografica “Excalibur”, di John Boorman
Le Conte du Graal di Chrétien de Troyes: il racconto in breve
Nella storia di Chrétien de Troyes, che egli sostiene derivare da un misterioso libro andato perduto. Perceval-Parsifal è un ragazzo che vive nella foresta insieme alla madre. Si trovano lì dopo che il padre (ferito mortalmente alle gambe) e i fratelli, tutti cavalieri, erano morti in battaglia o a seguito di scontri armati.
La madre, temendo che il ragazzo segua le orme dei familiari maschi della famiglia, cerca di proteggerlo isolandosi nel bosco.
Perceval cresce così senza sospettare l’esistenza di un mondo esterno né della cavalleria, ricevendo nel contempo un’educazione cristiana e la capacità di maneggiare un bastone come arma per la caccia, finché un giorno incontra dei cavalieri in scintillante armatura e li scambia prima per demoni e poi per angeli.
Da costoro riceve l’informazione che a Caerleon, Artù è colui che può investirlo cavaliere e dargli le armi che lo entusiasmano tanto. Perceval parte così immediatamente, “senza voltarsi indietro”, non ascoltando le suppliche della madre né preoccupandosi per il dolore che le procura la sua decisione.
La madre rassegnata completa frettolosamente l’educazione cristiana del ragazzo e gli impartisce alcuni consigli sul comportamento da tenere con le donne. Se incontra una dama in difficoltà deve prestarle aiuto e se lei, riconoscente, vuole offrirgli un bacio lui dovrà accettarlo. Se la dama gli vuole lasciare in pegno anche un anello come simbolo di amicizia e fedeltà, lui dovrà accettarlo. Perceval tuttavia, non avendo esperienza del mondo, fraintenderà gli insegnamenti materni e ciò sarà causa di diversi guai, ma anche di molte avventure.
Perceval è un ragazzo selvaggio legato alla Natura e fondamentalmente ignorante. Questa condizione è sia un difetto che ostacola la Cerca, ma anche un stato che gli permette di compiere grandi imprese.
I suoi primi atti appena iniziato il viaggio sono goffi e maldestri, mancano di tempismo e riguardo. Perceval appena trova una ragazza in una tenda, si accomoda a mangiare e bere e quindi la bacia subito e le chiede l’anello, portandole via in questo modo l’onore e il simbolo di fedeltà che lei aveva con un altro cavaliere.
Arrivando alla corte di Artù vede un Cavaliere Vermiglio che si allontana dal castello con una coppa d’oro in mano. Viene a sapere che il cavaliere ha offeso il Re rovesciando il vino della Regina e portandole via la coppa.
Perceval viene deriso da Sir Kay, il siniscalco, perché non vuole attendere il suo turno per essere ricevuto dal re e costui inoltre schiaffeggia la Damigella Senza Sorriso da anni, che vedendo il giovane riacquista il sorriso e profetizza il compimento di grandi imprese. Perceval promette di lavare l’affronto di Sir Kay, ma per il momento si limita a chiedere il permesso di inseguire il Cavaliere Vermiglio e indossare le sue armi se riuscirà a togliergliele. Si butta quindi come una furia all’inseguimento del cavaliere in armatura rossa, lo raggiunge, gli intima di consegnargli le armi e quindi, dopo averlo minacciato e aver ricevuto il suo rifiuto, lo uccide con un colpo di giavellotto.
Si deve quindi far aiutare dallo scudiero della vittima a indossare l’armatura perché egli non ha esperienza e lo invia poi alla corte di Artù promettendo vendetta nei confronti di Sir Kay. Tuttavia Perceval cavalca nella direzione opposta a quella del castello e incontra un cavaliere più anziano, Gorneman di Gorhaut, dal quale finalmente si fa istruire nell’arte della cavalleria, come indicatogli dalla madre.
Il suo tutore lo investe cavaliere e lo invita a fermarsi presso di lui per un periodo maggiore, ma il giovane è impaziente e parte il mattino seguente perché ormai ha ottenuto ciò che voleva. Anche in questo caso l’addestramento viene concluso affrettatamente con i consigli mal compresi e poi mal applicati da Perceval: aiuta sempre i bisognosi, non parlare troppo, non fare troppe domande per non sembrare folle.
Raggiunge così un castello, Beaurepaire (Belriparo), quasi in rovina la cui signora è Blancheflor (Biancofiore), una bella dama dallo sparuto seguito, insidiata da Engygeron che vuole darla in sposa insieme a tutti i suoi averi al suo signore, un pretendente indesiderato di nome Clamadeus delle Isole, che Perceval sconfigge e invia alla corte di Artù come prigioniero. La giovane aveva chiesto aiuto al giovane cavaliere recandosi da lui una notte e Perceval l’aveva castamente invitata nel proprio letto impegnandosi l’indomani a occuparsi del malfattore.
I due si innamorano, ma Perceval si ricorda della promessa fatta alla madre di tornare da lei una volta investito cavaliere e abbandona così Blancheflor intristita con la quale si impegna a far ritorno al più presto, anche se non sarà in grado di rispettare tale vincolo.
Lungo la strada si perde nella foresta e quindi giunge a un fiume impossibile da superare e domanda informazioni a due uomini a bordo di una barchetta. Uno di essi, colui che pesca, gli dice che non esiste modo di attraversare perché non vi sono ponti, né guadi né barche e lo invita invece ad accettare la propria ospitalità, indicandogli la propria dimora che raggiungerà salendo in cima a una montagna e discendendo quindi in una vallata.
Perceval fa come dice l’uomo e dapprima si infuria perché non vede alcuna dimora, ma poi si accorge dell’esistenza di una costruzione quadrata attorniata da due piccole torri davanti alla quale vi è un padiglione dove vi è seduto un uomo brizzolato dal nobile aspetto che si scalda presso un enorme camino in bronzo.
L’uomo è ferito alle gambe e non può alzarsi per rendergli omaggio. Perceval, educato a non chiedere, non domanda cosa lo fa soffrire.
Durante la conversazione entra un giovinetto con una magnifica spada appesa la collo che dichiara essere un dono della bionda nipote del re per il sovrano o per chi egli ritenga degno di portarla e farne buon uso con essa.
Il re la dona a Perceval e poco dopo, durante la conversazione, entra nella sala un altro giovinetto con una lancia bianca da cui sgorga una goccia di sangue che gli macchia la mano. Anche questa volta Perceval non domanda nulla perché chi lo aveva armato cavaliere gli aveva insegnato a evitare di parlare troppo.
Quindi entrano due bei giovinetti che sorreggono ciascuno un candelabro in oro intarsiato con smalto nero e sormontati da dieci candele ciascuno. Sono seguiti da una giovinetta che reca in mano uno splendido Graal, in oro purissimo con pietre preziose incastonate, il cui ingresso fa perdere fulgore alle candele “come il sole che all’alba smorza la luce di stelle e luna” e un’altra giovinetta con un vassoio d’argento.
La strana processione procede nella sala davanti al letto del sovrano e quindi sparisce in un’altra stanza senza che Perceval domandi nulla, né a chi fosse destinato il Graal né la natura di quello che aveva visto.
Inizia quindi un ricco banchetto a base di cacciagione su piatti d’argento, vino servito in coppe d’oro, succo di gelso e sciroppi, frutta e spezie, poggiati su una tavola d’avorio con gambe in legno d’ebano (capace di resistere la fuoco e all’acqua), durante il quale il Graal si manifesta ancora con la sua strana processione di giovani. E Perceval nuovamente evita di porre domande.
A ogni portata il Graal appare portato di fronte ai suoi occhi e ogni volta il giovane non si osa domandare a chi è destinato. Però decide che il mattino seguente avrebbe chiesto a uno dei paggi dopo aver preso commiato e si concentra sul cibo e sulle bevande non preoccupandosi più del Graal.
Il re ferito si ritira offrendogli alloggio per la notte e Perceval, aiutato dai paggi, lascia l’armatura e si corica in un letto dalle lenzuola di lino bianco.
Il mattino seguente si sveglia con il sole già alto nel cielo e nessuno ad aiutarlo nel vestirsi e indossare le armi. Trova tutte le porte delle altre camere sbarrate e anche se chiama a gran voce nessuno gli risponde. Unica porta aperta è quella verso la sala che lo conduce al cortile deserto dove lo attende il suo cavallo, lo scudo e la lancia.
Perceval pensa che i servi siano nei boschi a controllare le reti e le trappole e così si incammina desideroso di domandare il perché della lancia che sanguina e del Graal, ma non appena passa il ponte levatoio questo viene sollevato senza che si veda nessuno e che nessuno risponda ai suoi richiami e alle sue rimostranze.
Presso una quercia trova una damigella in lacrime ai piedi del cadavere del suo amato che si sorprende di vedere un cavaliere su un cavallo pulito e strigliato, dato che non vi sono dimore per molte miglia. Al che Perceval le racconta del castello, del re pescatore, degli oggetti misteriosi.
La damigella gli rivela che il Re Pescatore è stato ferito in battaglia da un giavellotto e ha perso l’uso di entrambe le gambe e l’unica attività di cui si può occupare è appunto la pesca. Quindi chiede a Perceval se di fronte
alla lancia e ai prodigi a cui ha assistito ha posto delle domande e alla risposta negativa del giovane lo rimprovera perché avrebbe potuto guarire il re e la sua terra e che anche lui ne avrebbe avuto grande beneficio, invece ora vi sarebbero state solo sventure.
La damigella gli chiede il nome e Perceval, che non l’hai mai saputo, intuisce di chiamarsi “Perceval-Parsifal”. La ragazza gli rivela essere sua cugina e che ha vissuto anch’ella nella Foresta Desolata con lui quando era molto piccolo e per questo non se ne ricorda. Inoltre gli rivela che la sua partenza affrettata dalla casa nel bosco ha causato la morte della madre certa che anche lui sarebbe morto come i suoi familiari maschi.
Perceval prende coscienza vergognandosi della sua mancanza di compassione o semplice solidarietà verso il re ferito che ha condannato il sovrano a soffrire e della sua avventatezza che ha causato la morte della madre. Giura di vendicare l’amato della cugina e lei gli rivela che la spada donatagli dal Re Pescatore andrà in pezzi proprio nel momento del bisogno.
Questo punto della storia è grigio e triste, ma da qui inizia anche un cammino di risalita di Perceval perché incontra la ragazza a cui aveva rubato l’anello, coperta di stracci a cavallo di un ronzino obbligata in quella condizione dal suo cavaliere geloso e offeso per aver baciato e dato il suo anello a Perceval. Il giovane lo affronta, ma la sua spada va in pezzi. In ogni caso riesce a sconfiggere (vendicando anche la cugina) e lo riconcilia con la sua amata ammettendo la propria colpa. Perché sia giudicato lo manda quindi alla corte di Artù e quando il sovrano apprende delle avventure di Perceval parte con tutta la corte di cavalieri alla sua ricerca.
Perceval riprende il cammino e la visione del sangue sulla neve di un’oca selvatica attaccata da un falco gli porta alla mente Blancheflor e la sua promessa di tornare. Assorto nel ricordo non si accorge di essere stato raggiunto dalla corte di Artù e dei cavalieri che cercano di attirare la sua attenzione e quando Sir Kay lo scuote, Perceval lo abbatte da cavallo rompendogli un braccio con un colpo, vendicando così la Dama Senza Sorriso e la derisione ricevuta al suo arrivo a Caerleon.
Perceval esce così dal suo stato sognante e viene portato in trionfo alla corte di Artù dove si fa festa tutta la notte. Al mattino giunge a cavallo di una mula la più brutta dama mai vista fino ad allora: ha capelli neri e intrecciati come serpenti, pelle scura come i Saraceni, occhi piccoli come i ratti, denti gialli, naso da gatto, la barba come le capre, schiena storta e con la gobba, gambe curve e sottili come steli.
Cavalca con spavalderia e saluti tutti i presenti tranne Perceval, anzi lo maledice per non aver terminato il proprio compito, per non aver posto le domande che avrebbero potuto guarire il Re Pescatore e il regno e perché “…maledetto è chi si lascia sfuggire le opportunità per attenderne una migliore”.
Le domande giuste “Chi è l’uomo virtuoso servito dal Graal?” e “Perché la Lancia insanguinata?” avrebbero reso la salute al sovrano e al regno, ma il non averle poste sarà causa di rovina perché “…le spose perderanno i mariti, le terre saranno devastate, le fanciulle rimarranno orfane e nella disperazione, molti cavalieri morranno e tutti questi mali verranno da te”.
Quindi la Laida Fanciulla annuncia diverse avventure che i cavalieri si affrettano a scegliere per portarle a termine, mentre Perceval, affranto, giura che da quel momento non trascorrerà due notti nello stesso posto finché non abbia ritrovato il castello del Re Pescatore e posto la giusta domanda.
Stranamente a questo punto il racconto di Chrétien abbandona il personaggio di Perceval e si dedica a quello di Galvano.
Di Perceval sappiamo solo che vaga per cinque anni senza risultati, se non quelli di inviare dei cavalieri erranti o sconfitti alla corte di Artù, questi ultimi per essere giudicati. Perceval perde la memoria circa il proprio compito finché un Venerdì Santo si imbatte in una strana processione di dame scalze e cavalieri incappucciati e disarmati.
Stupiti di vedere Perceval armato e a cavallo gli domandano se egli sappia quale giorno sia e al suo diniego gli rivelano che è il Venerdì Santo. Perceval a questo punto è dispiaciuto dal lungo smarrimento e per aver dimenticato lo scopo del suo viaggio e domanda da dove vengano cavalieri e dame. Gli rivelano di giungere dal ritiro di un eremita dal quale Perceval si reca immediatamente, cade in ginocchio e piangendo gli racconta le proprie avventure. Anche il sant’uomo scoppia in lacrime rivelando al cavaliere di essere suo zio e che anche il Re Pescatore lo è, entrambi fratelli di sua madre. Spiega a Perceval che non ha posto le giuste domande sul Graal perché in cuor suo sapeva della morte della madre e se ne riteneva responsabile.
Perceval è sinceramente pentito e piange a lungo. L’eremita-zio gli offre l’assoluzione, gli da una penitenza e gli dice di rimanere di buonumore. Perceval ascolta così la messa, si comunica e finalmente si riposa. E nuovamente la storia di Chrétien abbandona il suo personaggio per tornare alle avventure di Galvano e terminare improvvisamente a metà di una frase… Gli autori successivi riprendono la narrazione e solo la 3ª continuazione rivela che il Graal è la coppa in cui Gesù ha celebrato l’Ultima Cena e nella quale Giuseppe d’Arimatea ha raccolto alcune gocce di sangue del Cristo deposto dalla croce e che la Lancia insanguinata è quella di Longino che ha perforato il costato del Salvatore.
La caratteristica interessante della narrazione di Chrétien de Troyes è la descrizione delle avventure di Perceval che viene fatta a partire dallo stato d’animo del ragazzo senza prendere in considerazione quello degli altri personaggi. Ciò che vede viene descritto in ‘quadri’ successivi che trasmettono da un lato il punto di vista del cavaliere e dell’altro il fatto di trovarsi di fronte a fatti misteriosi.
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N.B. I titoli preceduti da un asterisco (*) sono quelli vivamente consigliati di leggere, sia per l’attinenza con questo lavoro, sia per la loro qualità.